La storia di San Daniele Profeta

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Giambattista Tiepolo, “Daniele nella fossa dei leoni”, Udine, Palazzo Arcivescovile

In quel tempo re Ioakim regnava sulla terra di Giuda. Nabucodonosor, re di Babilonia, marciò su Gerusalemme e la conquistò. Portò via tutti gli arredi sacri del Tempio del Signore, gli oggetti d’oro destinati alle offerte, i vasi e le bacinelle e li destinò al tempio del suo dio. Poi rese schiavi il re e la popolazione e li deportò nella sua terra, la Babilonia. Tra i prigionieri c’erano molti giovani israeliti di stirpe reale o nobile. Nabucodonosor chiese ad Asfenaz, il capo dei suoi funzionari, di scegliere tra questi i più belli e intelligenti per destinarli al suo servizio. I giovani, portati a corte, avrebbero imparato il caldeo, la lingua dei maghi e degli astrologi, e poi sarebbero stati istruiti in tutte le scienze. Fra i ragazzi prescelti c’erano quattro amici: Daniele, Ananìa, Misaele e Azarìa. A corte, i giovani vennero trattati con ogni riguardo e nutriti con i cibi più prelibati, gli stessi della tavola del re.

A differenza di tutti gli altri prigionieri, Daniele, Ananìa, Misaele e Azarìa si rifiutarono di mangiare i cibi della mensa reale perché erano fedeli alla Legge di Israele, che prescriveva di non toccare i cibi impuri. Chiesero perciò di poter mangiare solo verdure.

«Ma così il re vi troverà deboli e magri. Questo non piacerà al mio signore, che se la prenderà con me» Spiegò loro Asfenaz, l’alto funzionario.

Ma Daniele replicò: «Mettici alla prova. Per dieci giorni servici solo acqua e qualche verdura, e vedrai.»

Dieci giorni dopo, l’aspetto dei quattro ragazzi era più sano e florido di quello degli altri giovani che mangiavano e bevevano i cibi del re. Allora il funzionario li prese in simpatia e ordinò che venissero dati loro solo i cibi che desideravano.

Il Signore Dio fece diventare molto sapienti i quattro amici, che completati tre anni di studio vennero portati alla presenza del re. Nabucodonosor li interrogò e si stupì a tal punto della loro sapienza, di molto superiore a quella dei maghi e degli astrologi di corte, che volle tenerli accanto a sé.

Una notte Nabucodonosor fece un sogno che lo turbò. Si svegliò in preda a una grande agitazione e subito mandò a chiamare tutti i suoi maghi, gli indovini e gli astrologi.

«Spiegatemi subito il sogno che ho fatto» ordinò.

«O re, se hai la compiacenza di raccontarcelo, tenteremo» dissero intimoriti i sapienti.

«Non ci penso affatto! – replicò il re –Che razza di indovini siete, se non sapete nemmeno indovinare il sogno che ho fatto? Sta a voi raccontarmelo e interpretarlo: se non ci riuscirete, darò ordine di farvi a pezzi.»

«Mio re, ma questo non è possibile a nessun uomo! – obiettò un mago – Solo gli dei sono tanto potenti.»

«A morte! Che siano messi a morte! – gridò Nabucodonosor, furente – Guardie, venite, e fate uccidere questi uomini.»

Anche Daniele venne a sapere del comando di sterminare tutti i sapienti del regno: lui e i suoi amici erano in pericolo. Si presentò allora dal sovrano e gli chiese di concedergli un giorno per risolvere il mistero. Poi tornò a casa e prese a pregare con fervore il Signore insieme ai compagni. Durante la notte ebbe una visione.

Il giorno dopo si presentò dal re.

«Ho la spiegazione di quanto hai sognato – gli disse – Ma prima libera i saggi. Il tuo sogno non può essere rivelato da nessun uomo, e io l’ho compreso solo perché ho avuto la rivelazione da Dio stesso. Nel sogno hai visto davanti a te una statua gigantesca. Aveva la testa d’oro, il petto e le braccia d’argento, la pancia e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi di ferro e d’argilla. All’improvviso da una montagna si è staccata una roccia che è caduta sui piedi della statua e l’ha distrutta.»

Nabucodonosor si alzò: «E vero!» gridò, incredulo.

«Questa è l’interpretazione:» continuò Daniele «La statua è il tuo impero, e tu sei la sua testa d’oro, il re dei re. Le altre parti di metallo sono i regni che verranno dopo di te, alcuni più forti, altri più deboli, altri divisi, ma nessuno durerà. E poi sorgerà il regno di Dio, il più grande di tutti i regni, che durerà in eterno.»

Nabucodonosor rimase così impressionato dalla rivelazione di Daniele e dalla sua sapienza che si inchinò davanti a lui e gli disse: «Certo il tuo Dio è il più grande e il più potente di tutti.»

Poi proclamò Daniele governatore di tutta la Babilonia e i suoi tre amici li fece diventare amministratori.

Quando Nabucodonosor morì, il nuovo re, suo figlio Baldassarre, diede un grande banchetto al quale invitò mille tra i più alti dignitari del regno. Desiderava che la festa fosse particolarmente sfarzosa e fece imbandire la tavola con i vasi sacri d’oro e d’argento che suo padre aveva preso dal Tempio di Gerusalemme.

Mentre la festa era al culmine, e tutti mangiavano e bevevano, all’improvviso, come uscita dal nulla, apparve una mano che prese scrivere sulla grande parete della sala di fronte al candelabro.

Nel vedere le dita che scrivevano, Baldassarre impallidì e iniziò a tremare.

«Chiamate i miei indovini» gridò.

Subito accorsero gli indovini, ma nessuno di loro seppe interpretare le parole misteriose scritte dalla mano.

«Darò il mio mantello di porpora e una catena d’oro a chi mi saprà leggere queste parole» promise Baldassarre.

Allora sua moglie, ricordandosi di Daniele, gli disse: «Non temere, nel tuo regno c’è un uomo sapiente tra i sapienti, che possiede lo spirito dei santi. Tuo padre trovò in lui una conoscenza pari solo a quella degli dei. Mandalo a chiamare.»

E Daniele fu mandato a chiamare.

Quando arrivò nella grande sala, il re lo interrogò: «Sei tu Daniele il sapiente?» – chiese –  «Mi hanno detto grandi cose di te. Guarda quella scritta sul muro: nessuno dei miei maghi ha saputo leggerla. Se tu ci riuscirai, ti darò il mio manto, una collana d’oro e diventerai il terzo signore del mio regno.»

«Tieni pure per te i tuoi doni» – disse Daniele – «E non preoccuparti: io leggerò la scritta e te la spiegherò. Il Signore aveva dato a tuo padre Nabucodonosor gloria, potere e ricchezza. Ma il suo cuore divenne superbo e Dio lo punì. E tu Baldassarre, pur sapendo queste cose, non hai agito per il bene. Hai osato insultare il Signore bevendo nei suoi vasi sacri e hai preferito lodare divinità di pietra piuttosto che lodare il vero Dio. Per questo ha mandato quella mano. Ora ti leggo che cosa ha scritto. Mene: significa che il tuo regno è alla fine. Tekel: Dio ti ha pesato e ti ha trovato mancante. Peres: il tuo regno sarà diviso tra i Medi e i Persiani.»

Turbato da quelle parole, Baldassarre volle comunque regalare a Daniele il suo manto e la collana d’oro. Ma quella stessa notte fu ucciso e il suo regno passò nelle mani di Dario, re dei Medi.

Dario affidò la cura delle province del suo regno a centoventi satrapi. Pose sopra di loro tre governatori. Uno dei tre era Daniele. E poiché nuovo re lo teneva in grande considerazione, pensò di metterlo a capo tutto il suo regno. Questo naturalmente suscitò le invidie dei satrapi degli altri funzionari, che cercarono in tutti i modi un pretesto per liberarsi di Daniele. Ma poiché non c’era nessun motivo per accusarlo, escogitarono un perfido stratagemma. Andarono dal re e gli dissero: “Ti portiamo una richiesta da parte di tutti i dignitari del tuo regno: ordina che per trenta giorni nessuno si inchini davanti a nessun altro dio all’infuori di te. E chi sarà sorpreso a disubbidire venga gettato vivo nella fossa dei leoni.»

Dario rimase stupito da quella richiesta, a la sua vanità ebbe la meglio e firmò il decreto.

La mossa dei satrapi era molto astuta: sapevano che Daniele non avrebbe mai rinunciato a pregare il suo Dio. Infatti continuò a comportarsi come sempre: tre volte al giorno andava nella sua stanza, si inchinava, davanti alle finestre spalancate rivolte verso Gerusalemme e pregava. Così i suoi nemici piombarono nella sua abitazione mentre stava pregando, e corsero a riferirlo al re.

Nell’udire che proprio Daniele era caduto vittima del suo decreto, Dario ne fu molto addolorato, ma non poteva fare niente per salvarlo. La legge è la legge. Così diede ordine che Daniele venisse arrestato.

«Che il Dio che preghi con tanta fede ti possa salvare» gli disse il re prima che Daniele venisse gettato nella fossa.

Quella notte il re Dario non riuscì a chiudere occhio e rifiutò ogni cibo e ogni bevanda. Il mattino dopo corse alla fossa e con voce tremante chiamò: «Daniele, amico mio, il tuo Dio che servi con tanta fedeltà ti ha salvato dai leoni?»

«Non temere, Dario» – gli rispose la voce di Daniele «il mio Signore ha mandato il suo angelo a chiudere la bocca dei leoni. E io sto bene.»

Pieno di gioia, il re comandò che Daniele fosse fatto uscire dalla fossa. Al suo posto ordinò che fossero gettati gli uomini che lo avevano accusato. E poiché erano colpevoli, vennero sbranati.